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I profondi cambiamenti del quadro politico nazionale ed internazionale, il peggioramento della situazione finanziaria dello Stato italiano, collassato dal debito pubblico, l’accelerazione del dibattito istituzionale impongono oggi una riflessione sull’AUTONOMIA TRENTINA che non sia rituale, che ne individui le radici storiche, culturali, la specificità.

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Con la consapevolezza che molti e reali sono i pericoli di tornare indietro, se non di perdita totale dell’Autonomia.

Nella convinzione che sono in gioco non solo norme giuridiche fondamentali, ma opportunità di sviluppo, lo stesso autogoverno visto come possibilità/capacità dei Trentini di costruire con il lavoro il proprio futuro.

Il Trentino è terra di montagna. Ciò ha imposto storicamente modi di vivere, comportamenti, mentalità specifici, particolari, come risposta alla natura del nostro territo­rio, alla scarsità delle risorse. Gli insediamenti umani, le realtà di valle, le stesse città portano i segni di questa costante difficile interazione.

Per otto secoli il Trentino, come Principato Vescovile, è stato cerniera, snodo, cuscinetto fra due culture e due civiltà: latina e tedesca, mediterranea e mitteleuroea.

E qui preme ricordare in particolare la figura di Michael Gaismayr, condottiero della rivolta popolare contadina del 1525, idealista ed utopista dello spirito della riforma, anche se pochi anni dopo si imposero a Trento e nel Tirolo la controriforma e la re­stauazione.

Poi nel secolo XIX, sotto l’Impero austroungarico si è manifestata una resistenza attiva politica e culturale contro ogni assimilazione, in difesa della minoranza italiana. Nell’irredentismo stesso è rimasta viva l’esigenza di salvaguardare la specificità anche amministrativa della nostra terra. Ciò spiega alcuni caratteri dell’antifascismo trentino, dell’opposizione popolare diffusa all’ideologia fascista e la stessa esperienza dell’ASAR, movimento di origini popolari dell’immediato dopoguerra.

CI sono dei caratteri precisi della comunità trentina che la identificano e la distinguono. Non c’è bisogno di infondate mitizzazioni, serve invece riconoscere, percepire con chiarezza ciò che può ancora oggi esser posto alla base dell’autogoverno e ciò che ne è risultato un limite.

Servono riferimenti ideali ed etici e insieme una lettura rigorosa e concreta della nostra realtà.

Risorse spirituali, valori, conquiste della convivenza civile, accanto alle risorse materiali, alle capacità sociali.

La società trentina si presenta ancora oggi, pur nelle sue contraddizioni e nei suoi squilibri, ordinata, con i segni della dignità, della laboriosità, della disponibilità che non raramente è generosità, slancio, capacità di sacrificio personale.

Al centro un diffuso SENSO CIVICO che è nella sua essenza senso di appartenenza, senso dello stato. Un rapporto tra cittadini e istituzioni che vede i cittadini consapevoli dei loro diritti e doveri reciproci.

Persistono nella gente trentina onestà e correttezza accanto a una certa sobrietà e rigore nei comportamenti, riservatezza tipica del montanaro, rispetto della parola data. Una grande ricchezza di forme associative e solidaristiche, tendenza a socializ­zare il rischio.

Basterebbero le prove alte e quotidiane fornite dai corpi dei vigili del fuoco paese per paese, sobborgo per sobborgo e sul territorio nazionale, a documentare e simbolizzare il senso e il valore più profondo del volontariato trentino. Un territorio difeso, presidiato dal basso, dalle comunità locali. Risorse preziose quindi.

Ma anche presenza di uno spirito antimodernista e conservatore, una valenza cattolica come tendenziale chiusura, una funzione della Chiesa come controllo sociale che non va sottaciuta.

E ancora una limitata propensione all’imprenditorialità, poca fantasia e gusto del rischio, tendenza al localismo, uno scarso dinamismo. Con in più i frutti di una certa gestione poli­tico-economica dell’Autonomia: un certo assopimento generale, una delega alla Provincia-Mamma, una difficoltà a scegliere con coraggio strade diverse dall’assistenzialismo.

C’è necessità di puntare fino in fondo sulle proprie forze, di aprirsi a nuove prospet­tive.

Oggi, con la chiusura del “pacchetto”, con la quietanza liberatoria e l’adesione dell’Austria alla Comunità europea, viene meno il ruolo politico del Trentino con il conseguente indebolimento dell’originario significato della Regione Trentino-Alto Adige.

In un quadro di precarietà, quasi sospesa nel vuoto, l’Autonomia trentina vive un’incertezza drammatica, attaccata com’è da molte parti, priva dei tradizionali referenti, con il rischio di incrinatura nella coscienza popolare e più perico­losamente ancora tra le giovani generazioni.

L’irresponsabilità politico-amministrativa e affaristica che ha portato alla tragedia di Stava ha inferto una perdita gravissima di credibilità. La questione morale esplosa anche in Trentino ha fatto il resto.

In queste condizioni parlare della necessità di una resistenza autonomistica e di una ricostruzione etico-politica in Trentino, significa fare i conti con la verità, prima ancora che con la realtà economica e finanziaria.

In questo senso pensare di rilanciare su basi nuove una TERZA FASE DELLA NOSTRA AUTONOMIA significa conoscere, capire, tra molte difficoltà e contro la prassi di occultare il vero, la struttura della spesa pubblica in Trentino.

Significa riconoscere che dallo Stato sono affluite risorse finanziarie aggiuntive ri­spetto alle competenze di spesa. Trattative, baratti (esemplare il settore della scuola) che hanno in pochi anni raddoppiato le disponibilità finanziarie della Provincia, con politiche di spesa che hanno fatto apparire di fronte all’opinione pubblica nazionale l’autonomia come puro privilegio.

Siamo pronti a discutere di questi eventuali privilegi, a definirne la presumibile consistenza, a confrontare le dotazioni finanziarie con le competenze e potestà assegnateci.

È necessità di oggi un’azione che deve essere in primo luogo informazione, ma che va sostenuta con comportamenti coerenti, che concorra a confutare l’idea che l’Autonomia speciale si riduca a privilegi finanziari.

Che affronti il terreno della responsabilità fiscale diretta. Che attivi rapporti di colla­borazione, intese con la Provincia di Bolzano, con i ladini, con Belluno ed Innsbrück, in un’ottica transnazionale.

Bisogna contrastare la perdita di memoria storica con iniziative forti che non ab­biano un segno puramente rivendicativo o litur­gico, bensì un marcato carattere propositivo. In altre parole occorre darsi una strategia che aumenti le possibilità di un movimento democratico di difesa dell’Autonomia che guardi al futuro.

È nostra convinzione che, proprio per la debolezza della posizione del Trentino, esiste poco tempo utile a recuperare la credibilità dell’Autonomia, per i Trentini come per la stessa comunità nazionale.

Per affrontare la fase di ricostruzione dell’Autonomia servono analisi complessive su cui fondare progetti adeguati alle condizioni specifiche del Trentino, con la sua configurazione montana, con la frammentazione degli insediamenti, che rendono particolarmente costosi i servizi.

Progetti che siano adeguati alle potenzialità del nostro ambiente naturale, alle risorse latenti, alla fragilità del nostro ecosistema. Il pericolo della marginalizzazione del Trentino è reale.

Bisogna battere tendenze conservatrici e approcci demagogici, se si vuole perseguire realmente l’obiettivo di entrare nella modernità e nel macromercato senza strappare il solidarismo e salvaguardando un giusto livello dei servizi sociali.

Esistono squilibri forti tra i vari settori economici che giustificano un giudizio, che non vuole essere catastrofico, di una perico­losa gracilità della nostra economia.

Ciò a fronte di un apparato pubblico sovradimensionato ed estremamente co­stoso, da ridimensionare e riqualificare non per punire, ma per riportarlo alla sua funzione di servizio ai cittadini e alle imprese, con al centro la dignità dei cittadini e degli stessi pubblici dipendenti.

In questo senso è essenziale rivedere anche politiche sindacali che di fatto hanno concorso a creare sacche di privilegio, con il frutto, che fa comprendere anche orientamenti elettorali recenti di massa, di diffusa ostilità e animosità verso i dipendenti pubblici. Vi è la necessità di passare dal degrado di tipi ministeriale a un governo del per­sonale pubblico che lo riporti a risorsa dell’Autonomia. Basterebbe pensare al banco di prova della scuola e della sanità, per cogliere la correttezza di queste asserzioni.

È in grave crisi l’agricoltura di montagna, vi sono rischi reali di un drastico ridimensionamento dell’industria, turismo e artigianato non hanno finora trovato una integrazione in un sistema in cui le diverse attività siano complementari e non in competi­zione tra loro. Il commercio perde colpi rispetto al dinamismo degli operatori esterni, anche esterni, a partire dalla grande distribuzione.

Va denunciata una scarsa fantasia dei nostri operatori pubblici e privati, una perdita di quella mentalità imprenditoriale che in alcune fasi della nostra storia portò le città e le valli a costruire premesse di sviluppo.

Ci sono state inoltre e permangono gravi sottovalutazioni e rigidità nei confronti di nuove opportunità che provengono dai mercati dell’Est europeo.

Una sottovalutazione dell’importanza strategica di una politica dei trasporti, a cominciare dalle grandi infrastrutture: interporto di Trento, ferrovia del Brennero, ferrovia della Valsugana. Esistenza delle grandi concentrazioni di autotrasporto sul nostro territorio. Assenza di interlocutori dinamici, attendismo, di fatto subalternità alle scelte decisive di altri.

Una sottovalutazione (sempre nella logica del baratto) della ricchezza economica delle risorse idroelettriche e della ricaduta che sarebbe possibile per un diverso ruolo dei Comuni, delle imprese e del risparmio privato nella loro gestione.

Sottovalutazione delle possibilità economiche insite nella politica ambientale vista non solo in termini di vincoli, ma come liberazione di risorse e sostegno alle imprese locali che in questo settore operano.

Incapacità di avviare una politica della ricerca che sia in connessione con la produzione.

Anche in questo senso la stagione “felice” dei 4.000 miliardi da spendere ha con­sentito di dare risposte ai bisogni più diversi e contrastanti da parte di una classe dirigente con poche accezioni, spregiudicata, attenta alla propria immagine e ai propri interessi affaristici, ma incapace di operare scelte di fondo, di prospettiva. Con il supporto di un’opposizione politica e sociale a sua volta incapace di uscire dai propri rassicuranti orticelli;

Il secco e a lungo occultato ridimensionamento delle risorse finanziarie, il brusco risveglio della realtà, cade in un momento in cui l’Autonomia appare un vetro appannato, un disegno confuso, quasi un optional.

La risposta non può essere che una cultura dell’Autonomia fondata su valori, supportata da intelligenze e capacità. A cominciare da una selezione dei nuovi quadri politici e della stessa burocrazia.

Non cogliere la gravità sempre più visibile dello sfacelo amministrativo italiano può portare in un vicolo cieco il Trentino, che per sopravvivere e svilupparsi abbiso­gna di cardini robusti e rinnovati su cui attestarsi: DEMOCRAZIA, AUTONOMIA, CONVIVENZA, PRODUZIONE DI RICCHEZZA, EFFICIENZA DEI SERVIZI. Per questo è necessario pasare

Dall’Autonomia della distribuzione della ricchezza, all’Autonomia della produzione della ricchezza.

Quale ruolo per il Trentino ? Va riconosciuta la situazione geografica e storica eccezionale di Trento, Bolzano e Innsbrück, tre città poste sullo stesso asse trasversale alpino, ad elevata antropizzazione. Città che sono centri di un ‘ampia regione montana senza significativa concorrenza di altri poli metropolitani. Diverse le configurazioni di altre aree delle Alpi italiane: le città alpine come Aosta, Sondrio, Belluno, sono centri di sistemi minori, mentre la montagna piemontese, lombarda, in parte veneta e friulana risente fortemente dell’influenza di centri exta-alpini. La regione alpina in cui il Trentino è inserito presenta aspetti geomorfologici e funzionali che permettono grandi possibilità di far da sè, una forte capacità di autonomia a diversi livelli: economico, mobilità territoriale, organizzazione politico-amministrativa, circuiti di comunicazione e formazione, rappresentanza collettiva della propria identità. Una Regione alpina con una propria autonomia, con delle capacità proprie rispetto ai centri metropolitani e organizzazioni nazionali esterni.

Potenzialità quindi, ma anche pericoli. Dall’esterno: ruolo delle multinazionali e delle grandi banche, pressioni in aree tu­ristiche, influenza culturale dei grandi circuiti televisivi. E dall’interno: aumento del di­scrimine etnico, dualismo citta-periferia, conflitto città capoluogo e città minori. Molte sfide sono aperte, la chiusura sarebbe la sconfitta. Serve occupare attivamente tale spazio, ciascuno per la sua parte, con iniziative proprie, ma soprattutto come ponte, saldatura del processo di contatto-scambio tra il potente polo tedesco Monaco, Augusta, Ulm, Stoccarda e i poli italiani: Torino, Milano, Verona, Venezia, Trieste. Con l’occhio fisso ad Est, fino a maturare un vero e proprio progetto PORTA del­l’Est. Una regione di intersezione quindi, bifronte, bilingue (tedesco e italiano) con am­pie possibilità di sviluppo di strutture interfaccia di intermediazione e comunicazione. In questo contesto lo stesso pluralismo etnico da svantaggio-costo può divenire opportunità e risorsa. Nuovi rapporti con il Nord-Tirolo quindi. Necessità che i gruppi etnici anziché subire processi di assimilazione sappiano praticare la convivenza e stabilire relazioni e alleanze in rapporto alle comunanze di interessi economici, sociali e culturali. Sfide aperte quindi, da affrontare in primo luogo con e nelle comunità e popola­zioni. Dal basso, per avviare col passo giusto anche la ridefinizione istituzionale.

Per assicurare l’Autonomia e la Convivenza. Serve anche coraggio. È in gioco il futuro del Trentino.

Trento, 30 aprile 1994


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