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Notizie ed articoli

Incomprensioni storiche da riscattare

Sensibilità e spirito critico vorrebbero che prima di attendersi un riconoscimento di stima  nei propri confronti – destinato oltre tutto a durare nel tempo e vieppiù consolidarvisi – ci si interrogasse circa lo stato d’ animo della parte che dovrebbe condividerne la pur legittima aspirazione. Sarebbe opportuno chiedersi, nel caso specifico di questo territorio, quale opinione i sudtirolesi abbiano maturato nel corso degli ultimi decenni nei confronti dei compatrioti di lingua italiana. Di quei compatrioti, che dopo essere stati al loro fianco pressoché ininterrottamente dall’ antichità  fino ad oltre la fine della seconda guerra mondiale (il grande movimento di popolo confluito nell’ ASAR ne è stata forse l’ ultima, più eloquente testimonianza), si sono poi miseramente rassegnati alla sottomissione imposta loro da uno Stato straniero. I “trentini”, quelli che non hanno rinnegato le proprie radici, riflettano sulla condotta della popolazione locale nei confronti del gruppo etnico tedesco e, pur avversandola, se ne facciano coralmente carico proprio per dimostrare la loro vicinanza a chi di quell’ astio ingiustificato, quasi imposto dai cattivi maestri, è stato vittima. Con quale animo, ad esempio, i nostri vicini di lingua tedesca possono guardare ai trentini nel loro complesso dopo la lunga esperienza degli accadimenti politici nostrani che, a fronte di coraggiose (allora quasi temerarie) dissociazioni, hanno di fatto ricalcato, sotto mentite spoglie, il centralismo romano di ispirazione fascistoide? Una politica di indirizzo regionale che, con l’evidente  sostegno degli  elettori trentini, era volta a privare i sudtirolesi dei loro più elementari diritti, animata – così la definisce Riccardo Dello Sbarba nel suo volume “Südtirol Italia” – dal “complesso di Caino”. E ancora, quale ricordo dovrebbero serbare i sudtirolesi del processo svoltosi a Trento il 29 agosto 1963 in cui i seviziatori degli attivisti del Comitato di Liberazione del Sudtirolo vennero assolti o amnistiati per poi ricevere tanto di encomio da parte del loro comandante in capo, con il plauso di buona parte dell’ opinione pubblica trentina? Pure  l’ insegnamento scolastico della storia, da una certa data in poi, ha sortito l’ effetto opposto nella società trentina rispetto a quella sudtirolese , peraltro non giustificato dalla differenza linguistica che le caratterizza. Totale permeabilità che  ha  finito per determinare l’impronta nazionalista della popolazione in un caso, convinta  avversione nell’ altro. In un interessante opuscolo di recente pubblicazione dell’ Intendenza  Scolastica di lingua italiana di Bolzano, si legge, in riferimento alla conversione delle scuole dell’ Impero in quelle del Regno d’Italia : “E adesso a scuola si insegnava che i soldati austriaci erano barbari, disumani, crudeli : i bambini dovevano ripeterlo durante le ore di storia, e loro recitavano la lezione, scrivevano i compitini com’era prescritto, però sapevano che li stavano costringendo a scrivere delle cose non vere. C’è da stupirsi che considerassero non vero tutto quello che gli italiani – maestri e non – dicevano loro? …Scuole tedesche in Sudtirolo e scuole slave nella Venezia Giulia non sarebbero mai riuscite a suscitare e a diffondere tanto odio per l’Italia quanto ne scaturì dalle scuole italiane, imposte ai bambini di questi territori.”  Ma pure le 141 scuole del Welschtirol, fatte erigere da Maria Teresa,  nelle quali - nel rispetto dell’idioma locale -  l’insegnamento veniva svolto in italiano, erano scuole “tedesche”, e piccoli tirolesi erano gli alunni che le frequentavano. Ora, in coscienza, non si può chiedere a coloro che hanno subito vessazioni a non finire di ignorare la mancanza di solidarietà, protrattasi nel tempo, da parte di chi ne aveva da sempre condiviso i destini. Il processo di recupero della memoria comune, deve iniziare da chi questa memoria aveva smarrito. Con perseveranza e lealtà, due virtù che non mancheranno di dare i loro frutti.

 

Marco de Tisi




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